"Più Luce" è una rivista, nata allo scadere del 2000, in formato A3, e riprendeva la frase "Mehr Licht" che Goethe avrebbe pronunciato sul letto di morte. Il piano editoriale prevedeva un numero per ogni lettera dell'alfabeto ed i contenuti di ogni numero (articoli, saggi, racconti brevi) erano ispirati da parole "inaudite" riassunte nell'indice in forma di racconto: Un ANONIMATTO si aggirava con passo d'ALTOMARCIA inseguendo la solita ADRENALINEA. La sua AMBULASTORIA, piena di ALLUCINISMO, gli propose un nuovo ANAGRANIMA, che lo portò dritto sotto un ASINOTOTEM ASINOMETRO. Da tempo, munitosi di un ALLUMENTE ALMAPROTESI, aveva evitato l'AMBIDONE ANFISSUALE, ma quel giorno, presso l'ASPETTIERA, la vecchia ARCOBALENA ASCELLENTE, da tempo in AMENOPOSA, gli propose un ANALOTTO che l'avrebbe spedito in ALDILANDIA. l'ARTRONAUTA l'aveva avvisato: non bastava fare l'ACCHIAPPAMONDO o l'ARBREMAGRITTE per salvarsi dall'ALCHIMIOPE e la conseguente ASFISSIONE. Preso da un profondo ANXIOMA, con un ATLESTETICO AMPLASSO chiese aiuto all'AUSTRALOPITECHNO. Fù lui, che ASTROLINDO ed ABERRAPIDO, si accorse che l'ANOCEFALA si dava un gran AUTODAFARE, e con l'ADAGIOIA di un unico movimento ANARCOIDALE svelò il mistero dell'ANORGASTRONOMACHIA. I testi, erano stampati a caldo sugli "sfogliacci" utilizzati per l'avviamento macchine nella stampa dei manifesti di grande formato, ove, dato il loro ripetuto utilizzo, si sovrapponevano casualmente immagini provenienti da occasioni e contenuti diversi della comunicazione (pubblicità, politica, spettacoli, mostre...) facendo sì che ogni foglio, e quindi ogni copia, fosse un esemplare unico, esteticamete indeterminato e prodotto dal caso. Un'altra importante scelta editoriale, fù quella di impaginare i testi sul retro degli sfogliacci senza restrizioni ad una "gabbia", ma di creare un'impostazione grafica specifica per ogni pagina, che fosse in relazione al suo contenuto. Il progetto, apparentemente irrealizzabile per il suo carattere estremo e rigorosamente sperimentale, si concretizzò allorquando, grazie ad una banca di immagini giapponese: "Photonica" (mai nome fù più appropriato) ci diede l'opportunità di attingere ad un vastissimo catalogo di immagini da associare alle parole e, dal loro punto di vista, dimostrare che per qualsiasi parola, qualsivoglia concetto, esisteva, nel loro archivio, corrispondesse ad un'immagine che lo potesse "immaginare". Realizzata la rivista mi capitò casualmente di conoscere la poetessa Alda Merini, la quale, appassionatasi al progetto, scrisse qualcosa dedicata a noi e che volle inserire nella doppia pagina centrale, per la quale avevo realizzato quello che per me allora era la l'immaginazione: Una scintilla.
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